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Fuori dal contesto archivistico, il termine archiviare è solitamente inteso nel senso di ‘chiudere una pratica’. Costruire, curare, valorizzare un archivio generano invece un risultato diametralmente opposto. Decidere di archiviare significa ritenere che quel determinato documento possa servire ancora in futuro, che non vada perso o cestinato, che possa raccontare una storia importante e abbia un potenziale evocativo significativo.
L’atto stesso di archiviare indica anche una grande consapevolezza di sé da parte di chi costruisce il proprio archivio, e sicuramente Enzo Mari ebbe una chiara visione del valore del proprio lavoro e delle potenzialità narrative dei documenti che lo descrivevano, tanto da selezionare personalmente, finché poté, ciò che andava archiviato, e quindi ricordato, e ciò che invece non era degno di raccontare la sua storia.
Nel 2019 Enzo Mari donò al Comune di Milano buona parte del suo Archivio, conservato presso lo studio di Piazzale Baracca 10, a Milano, lo affidò al CASVA – Centro Alti Studi per le Arti Visive. L’archivio è destinato ad essere collocato presso la nuova sede nell’ex Mercato Comunale del quartiere QT8, in corso di ristrutturazione. In attesa della consegna dell’edificio, è stato trasferito in un altro deposito del Comune.
Il trasloco dell’archivio è stato coordinato da una conservatrice che, forse a ‘causa’ della sua formazione, ha adottato un metodo di prelievo derivato dallo scavo archeologico: ha ‘mappato’ ogni stanza, ogni mobile, ogni ripiano, ha fotografato, ancora una volta, l’ultima, i diversi contesti prima di iniziare a ‘smontarli’, ha raccolto tutto, a prescindere dalla sua capacità di riconoscere il valore culturale di ogni singolo schizzo, righello, pezzo di sughero, ha cercato di analizzare e definire gli ambienti dai quali veniva effettuata la sottrazione di opere, arredi e materiali, disegni, libri e pizzini, nella consapevolezza che ciascuno di essi apparteneva a più vite, quella dell’artista ovviamente, ma anche quelle dei suoi parenti e dei suoi collaboratori e allievi.
Con l’indispensabile collaborazione di Francesca Giacomelli, si è tentato di individuare e segnalare, laddove possibile, la ‘sequenza stratigrafica’ generata da gesti di accumulo e di asportazione, gesti che si sono succeduti per decenni e che negli ultimissimi anni avevano già inevitabilmente condotto ad una parziale scomposizione dello studio, divenuta definitiva nel momento in cui è iniziato il trasloco vero e proprio, fino allo svuotamento di quelle stanze e di conseguenza alla totale scomposizione della storia che vi ha abitato.
Come per uno scavo archeologico, infatti, ogni volta che si sposta uno strato o che si rimuove un oggetto, si sta smontando una storia, si attua così la distruzione del contesto, che non sarà mai più possibile ricostruire, se non in maniera estremamente parziale.
Gli anni in cui quelle stanze al terzo piano avevano ospitato la vita famigliare di Enzo e Iela Mari e dei loro figli Michele e Agostina erano ormai remoti e quasi illeggibili, di essi non rimaneva traccia, se non in alcune fonti letterarie o in alcuni pacchi dimenticati in cima ad un alto mobile o in angoli reconditi degli sgabuzzini.
Gli anni della vita professionale e della creatività senza confini dell’artista e dei suoi collaboratori erano invece ancora tangibili, nei nomi e negli arredi delle stanze, nei messaggi appesi alle porte dall’artista stesso, nel materiale da cancelleria sparso in giro, nel nero delle pareti perché “qui fumavamo tutti”, nelle apparecchiature informatiche, un tempo all’avanguardia, ora visibilmente troppo antiquate per essere ancora funzionanti.
Gli anni della malattia e della morte erano anch’essi ancora leggibili, nei progetti lasciati lì, aperti, come a dover tornare da un momento all’altro per riprenderli in mano, nei libri e nei faldoni non ricollocati al loro posto, perché la loro lettura doveva essere ancora terminata, e infine negli oggetti posti sul pavimento perché i mobili che li contenevano erano passati in altre case, a raccontare altre vite.
Se anche per lo Studio di Enzo Mari la distruzione del contesto è stata inevitabile, la cura e l’attenzione che tutte le persone coinvolte hanno dedicato alla raccolta degli oggetti e alla descrizione del loro contesto di origine e della loro collocazione, potrà permettere a chi lo vorrà di ricostruire e comprendere, almeno in parte, il percorso della loro esistenza attiva e della loro potenza creativa e creatrice.
Cristina Miedico Conservatrice del Casva al tempo del trasloco, ora conservatrice del Museo Archeologico di Milano